TRIORA, IL REGNO DELLE STREGHE
“Quasi a presagire le mie ricerche nel paese di Triora, il tempo stava cambiando. Era ferragosto e mi godevo il caldo sulla riviera ligure, il sole quasi accecante, l’odore di salsedine ed il panorama sulla gente che faceva il bagno in spiaggia. Poi ho svoltato nell’entroterra e magicamente il paesaggio si è fatto più verdeggiante, le colline che mi circondavano coltivate ad olivi, i piccoli paesi arroccati sulla roccia. Più mi avvicinavo a Triora, più le nuvole si addensavano. Mi avvolgeva una strana sensazione e speravo che il tempo potesse reggere. Era agosto, non pioveva da settimane, eppure eccolo nitido nell’aria il rombo di un tuono. Poi un altro, un altro ancora. Il borgo si staglia davanti ai miei occhi. Parcheggio l’auto, faccio pochi passi. Le streghe devono aver percepito il mio arrivo: scoppia un tremendo temporale…”
William Facchinetti Kerdudo
In Italia, il luogo certamente più noto come ritrovo delle streghe, insieme a Benevento, è il suggestivo borgo di Triora. Situato nell’entroterra della provincia d’Imperia, in valle Argentina, è immerso in un suggestivo scenario di rigogliosi boschi e coltivazioni delle tipiche e saporite olive taggiasche.
Gravemente danneggiato durante la seconda Guerra Mondiale, è ritornato negli anni al suo antico splendore.
Triora ha una ricchissima storia. In tutta la zona sono stati ritrovati reperti di epoca neolitica mentre le prime testimonianze di popolazioni che vi abitavano, risalgono all’epoca dell’invasione romana.
Trovandosi in una posizione militarmente strategica, di passaggio per giungere in Francia e vicina al mare, il borgo ha assunto grande rilevanza nei secoli. A partire dall’anno mille si susseguirono avvicendamenti che lo fecero diventare feudo dei conti di Ventimiglia, poi passò a far parte della Repubblica di Genova. Grazie alla possente cinta muraria, riuscì a resistere a diversi attacchi tra i quali quello dell’imperatore Carlo IV nel XIV secolo o delle truppe piemontesi capeggiate dai Savoia agli inizi del XVII secolo.
Nel 1797 dovette cedere a Napoleone Bonaparte con la caduta della Repubblica di Genova per poi essere annesso nel 1814 al Regno di Sardegna ed infine al Regno d’Italia.
Si tratta di un luogo con un indubbio fascino che riporta il visitatore a rivivere tempi passati. In un borgo abitato, come vuole la tradizione, da congreghe di streghe, è certamente ironico, o comunque sinistramente evocativo, il suo stesso nome: Triora.
Tri ora, tre bocche e l’evidente richiamo alla figura del Cerbero non sembra essere per nulla casuale dato che campeggia addirittura al centro dello stemma comunale. Il Cerbero è una figura mitologica della cultura ellenistica, un gigantesco cane a tre teste, ognuna delle quali simboleggiava la distruzione del passato, del presente e del futuro. Il suo corpo, al posto dei peli, era ricoperto da velenosi serpenti ed il suo ruolo quello di restare a guardia della porta degli inferi.
Questo simbologia precristiana, non è un esempio isolato all’interno del borgo. L’imponente Collegiata dell’Assunta, è stata infatti edificata su di un fanum, un antico tempio pagano. Forse è proprio questo l’indizio che può fornirci un’ipotesi sul proliferare della stregoneria: un luogo isolato, un popolo ligure fiero e che tempi immemori ha combattuto per la propria indipendenza, antichi culti pagani che il cristianesimo ha fatto tacere, ma non ha del tutto cancellato. Le tradizioni, i saperi, le superstizioni di un antico passato che si sono fusi, adattati, modificati ed evoluti nei secoli, assumendo il termine di stregoneria.
Allontanandosi dalla zona più commerciale fatta di negozi e ristoranti, ci si immerge tra gli stretti carruggi che, soprattutto se percorsi al calare del sole, assumono un’aria decisamente sinistra. Quello che colpisce immediatamente è il gran silenzio nel quale si è avvolti ed un turista impressionabile potrebbe facilmente immaginare di udire dei passi o di essere osservato attraverso le piccole finestre o dagli spioncini delle vecchie porte in legno.
E’ qui che si raccontano e tramandano storie di donne terribili e malvagie, devote a Satana, che solevano riunirsi alla Cabotina, una casupola appena al di fuori dalle mura cittadine e con un facile accesso ai boschi (non a caso da quel punto si diparte uno stretto sentiero chiamato delle ‘streghe’). Nella Cabotina discutevano, tramavano, maledicevano, preparavano pozioni e fatture ed ovviamente, veneravano il Demonio in attesa di celebrare i loro Sabba.
I racconti, anche di epoca relativamente recente, che si tramandano sulle streghe di Triora sono molteplici.
Le devote di Satana solevano riunirsi alla Cabotina, un casolare appena al di fuori delle antiche mura della città, dove attendevano il momento propizio per poter rapire i bambini. I più sprovveduti, che si trattenevano a giocare nei boschi circostanti fino al calare del sole, spesso non facevano più ritorno. Le bàgiue di Triora però, non attendevano solo l’occasione, ma la creavano. Entravano di notte nelle abitazioni attraversando i muri per divorare neonati od estrarre loro il sangue per farne dono ai morti rendendoli loro schiavi.
Solevano inoltre abbaggiurare (stregare o maledire) le persone con il potere dello sguardo o con un semplice tocco delle dita. Evitarle era quasi impossibile perché avevano la facoltà di camuffarsi trasformandosi in capre, conigli e gatti neri.
Regola fondamentale per le neomamme del borgo, era di ricordarsi di non allattare il neonato per i carruggi o passando di fianco a case di presunte streghe in quanto rendevano il latte materno imbevibile.
A livello storico, ciò che tramutò un tranquillo borgo ligure dandogli la nomea di più temuta città delle streghe, fu una carestia. Era il 1587 e per due anni consecutivi i raccolti erano stati scarsi a causa di un’eccessiva siccità. Le preghiere non sembrarono sortire nessun effetto e quindi si andò alla ricerca di capro espiatorio. La piaga fu quindi addebitata alle donne del paese ed a loro sinistri malefici. Venne radunata l’assemblea dei cittadini che delegò al Podestà l’incarico di individuare le presunte streghe e quindi di processarle.
Il Podestà in carica, Stefano Carrega, i cui poteri erano dati dal Doge di Genova, chiese a sua volta il supporto del vescovo di Albenga che incaricò un suo vicario, Girolamo Dal Pozzo. L’Inquisitore Dal Pozzo, fece istituire il processo.
A seguito di una pronta e severa richiesta che incitava i cittadini a denunciare qualsiasi sospetto, le denunce non tardarono ad arrivare. Furono immediatamente accusati una ventina di cittadini e dichiarati colpevoli tredici donne, quattro ragazze ed un fanciullo. Si creò un panico generane che sfociò in accuse reciproche, in malevolenze, in dispetti ed il numero di sospettati, per la stragrande maggioranza donne, aumentarono esponenzialmente.
Trascorsero diversi mesi ed il malcontento cresceva. I risultati sperati non stavano arrivando ed inoltre le spese del processo erano a carico della cittadinanza.
Inoltre, a causa del numero eccessivo di sospettati, alcune abitazioni ed alloggi nei pressi della chiesa principale, erano stati adibiti a carcere. La Santa Inquisizione, come era lecito operare all’epoca dei fatti, aveva cercato di estorcere le confessioni anche tramite la tortura. Isotta Stella, un’innocente anziana, perì a causa del troppo dolore fisico infertole mentre un’altra donna, temendo i supplizi che l’attendevano, si suicidò gettandosi dalla finestra.
A seguito delle rimostranze dei cittadini per la morte di Isotta Stella, l’Inquisitore Dal Pozzo rispose:
“Senes etiam quod essent decrepiti aetatis possent torqueri in crimine lesae maiestatis et praesertim divinae”
(“anche i vecchi per quanto decrepiti possono essere sottoposti a tortura nel delitto di lesa maestà e specialmente quella divina”).
L’Inquisitore era irremovibile, ma certamente non era uno sciocco. La generale insofferenza avrebbe potuto sfociare in una rivolta e quindi decise di non istituire ulteriori indagini, ma di portare a compimento solo i processi già in corso.
Le accuse erano quasi sempre rivolte a donne di ceti inferiori perché colpire famiglie benestanti avrebbe creato troppi dissapori. Ci fu però un’eccezione. Franchetta Borelli, da sempre rispettata in tutto il paese, fu sospettata di essere una strega. Iniziarono per lei atroci torture, ma, grazie all’aiuto dell’avvocato Ludovico Alberti, riuscì ad ottenere un’incarcerazione domiciliare. Sicuramente spinta dal timore di nuove torture, Franchetta tentò la fuga. Venuta però a conoscenza che l’Inquisitore si sarebbe vendicato sui suoi famigliari, tornò a Triora. Seguirono per lei supplizi disumani come la tortura del cavalletto, ma la donna non cedette e si rifiutò con tutte le sue forze di dichiarare di essere una strega. Per ottenere una confessione si arrivò anche ad un esorcismo perché l’Inquisitore non si capacitava della sua resistenza al dolore e quindi doveva necessariamente essere protetta da qualche forza malefica. La povera Franchetta Borelli non cedette mai ed alla fine dei processi venne rilasciata. Sebbene il suo corpo fosse ormai mutilato e dilaniato, visse ancora qualche anno e con l’onore intatto.
Per intervento della Chiesa di Roma, l’inferno esploso a Triora, finalmente cessò.
Della sorte delle carcerate condotte a Genova non permangono notizie certe. Alcune morirono di stenti e malattie in carcere, altre vennero probabilmente prosciolte e liberate, ma non fecero mai più ritorno a Triora.
Si pensa inoltre che alcune donne siano state trasferite nelle carceri del comune genovese di San Martino di Struppa e, una volta ottenuta la libertà, vi siano rimaste. Ad avvalorare questa tesi, i frequenti cognomi della zona: Bazoro, Bazora e Bazzurro, che contengono un evidente richiamo a bàzura, baggiura e bàgiua, gli appellativi dialettali con i quali, in Valle Argentina, venivano definite le streghe.
di William Facchinetti Kerdudo







Per approfondire:
Armando Bellelli
POTERE E MISTERO
Eremon
Link: http://www.lafeltrinelli.it/libri/armando-bellelli/988220