IL COLOSSEO DI ROMA TRA IMPERATORI, GRADIATORI E MISTERI

IL COLOSSEO DI ROMA TRA IMPERATORI, GRADIATORI E MISTERI

Come ci si potrebbe aspettare da una cultura che si dice sia basata su panem et circenses, i romani prendono molto sul serio l’ora della ricreazione. Il divertimento è disponibile a tutti i livelli, dai giochi da tavolo tracciati sul selciato agli spettacoli milionari negli anfiteatri. L’anfiteatro per antonomasia è il Colosseo, ma questo è il nome che gli verrà dato a partire dall’alto Medioevo, quale simbolo universale per identificare Roma nel mondo. Il suo vero nome è Anfiteatro Flavio, così chiamato perché eretto da Vespasiano della famiglia dei Flavi (gens Flavia) come strumento per ottenere l’approvazione del popolo. Basti pensare che ampie parti della megalomane Domus Aurea di Nerone, sono state demolite e la superficie così ricavata è stata utilizzata per il nuovo anfiteatro. Un’iniziativa accolta assai favorevolmente dal popolo romano, dal momento che proprio il gigantesco palazzo neroniano, con la sua smisurata ostentazione privata del lusso, era stato per molti una visione disturbante.

È sotto il Colosseo che l’eco del tempo e la storia colossale di un impero, giunge tremante attraverso la sabbia dell’arena centrale: quasi una enorme conca marmorea in cui Roma ha raccolto il sangue di tutto il mondo.
30.000 operai hanno lavorato giorno e notte per la costruzione di questa super arena eretta incredibilmente in un solo decennio. L’arena costituisce anche un capolavoro della tecnica. La posa delle sue fondamenta nel terreno, a tratti paludoso, è già stata una grossa sfida. La piastra di fondazione si trova ad una profondità superiore ai 40 piedi (oltre 12 m). Il luogo in cui l’arena s’innalza oggi ha rappresentato il buco più grande al mondo mai scavato dall’uomo!
Per un visitatore, la decisione di assistere ai giochi durante il proprio soggiorno a Roma è una questione di etica personale. Chiunque consideri gli spettacoli dei gladiatori cruenti, brutali e depravati, sarà in buona compagnia: solo una piccola percentuale della popolazione di Roma assiste a un qualsivoglia incontro dei ludi gladiatorii. Eppure, per quanto terribile sia l’arena, i suoi orrori vengono offerti con un’eleganza ed uno stile senza precedenti, e forse senza uguali, nella storia umana, tanto che lo spettacolo potrebbe coinvolgervi nonostante tutto. Di questi tempi gli dei di Roma non accettano più sacrifici umani, perciò i ludi gladiatori non fanno parte delle festività religiose della città. In realtà le occasioni in cui un visitatore può essere abbastanza certo di trovare uno spettacolo di gladiatori non superano di molto la dozzina. Una di queste occasioni è la festa di mezzo inverno, detta dei Saturnalia: Saturno è la divinità del mondo infero, ed i giochi dei gladiatori sono munera: offerte agli spiriti dei morti.
Come gruppo, i gladiatori (termine che deriva da gladio: la spada corta in dotazione ai legionari) sono disprezzati quanto gli schiavi o i criminali, ma i più forti hanno quel fascino atletico e sudato che ne fa le superstar dei loro tempi. I lanisti (i gestori di una scuola gladiatoria) reclutano i gladiatori nei mercati di schiavi o presso i tribunali penali. In città esistono quattro scuole gladiatorie, di cui la più grande, il Ludus Magnus, è talmente vicina all’anfiteatro da essere collegata all’edificio tramite un passaggio sotterraneo.
Oltre la preparazione fisica è importante quella psicologica. Il gladiatore deve, infatti, rispettare i valori etici cioè deve combattere con fierezza e, se necessario, affrontare la morte con dignità pronunciando il famoso sacramentum gladiatorium attraverso il quale il gladiatore giura di mantenere la sua dignità anche davanti alla possibilità di essere bruciato, percosso e legato, morso o ucciso trafitto da una spada:
“URI, VINCIRI, VERBERARI, FERROQUE NECARI”
Paradossalmente, questo terribile giuramento fornisce una sorta di onore ai gladiatori. Il gladiatore, attraverso il suo giuramento, trasforma in volontario quello che in origine è un atto involontario, così che , nel momento stesso in cui assume i panni di uno schiavo condannato a morte, egli diviene contemporaneamente un uomo che agisce secondo la propria volontà.
Alcuni gladiatori non combattono più di due o tre volte l’ anno; i migliori tra essi divengono veri e propri eroi popolari e, in quanto tali, i loro nomi appaiono spesso nei graffiti (come le future figure): il carnefice dell’ arena diventa il carnefice dei cuori: decus puellarum, suspirium puellarum (struggimento ed ammirazione delle ragazze). Grazie a questa popolarità e ricchezza, lo schiavo, il cittadino decaduto, il condannato per delitti comuni eguaglia i pantomimi e gli aurighi di moda. Una forma di riscatto sociale insomma. I combattenti più abili, infatti, possono vincere una notevole somma di denaro e ricevere la spada di legno (rudis) che simboleggia la libertà acquisita e ricorda il loro passato cioè il periodo trascorso nelle palestre per addestrarsi e proietta il loro futuro cioè che mai più dovranno combattere con una lama affilata. I gladiatori liberati generalmente continuano a combattere per denaro, ma più di frequente diventano istruttori nelle scuole gladiatorie o guardie del corpo mercenarie per un compenso economico.
Una gigantesca statua alta circa 35 metri (la più grande in bronzo mai costruita) si erge accanto all’anfiteatro. Realizzata dallo scultore greco Zenodoro rappresentava l’imperatore Nerone con la testa che radia raggi come Helios, il dio del sole. Forse per questo, nel futuro Medioevo, l’intera zona circostante, più che l’edificio in sé, prenderà il nome di “Colosseo”. Il Colosso resterà integro fino al V secolo d.C., ma, da voci del futuro, sembra che Papa Gregorio Magno, geloso di questo simbolo pagano, lo farà bruciare.
Questa arena, la più imponente al mondo, è in grado di ospitare non solo i combattimenti di gladiatori “Munera” ma anche le “Venationes”, una sorta di caccia agli animali feroci.
Con un’altezza di 50 m e un diametro di 200, l’anfiteatro occupa circa 24.300 m² di terreno. Ciascun livello delle sue caratteristiche arcate di travertino appartiene a un ordine architettonico diverso: il primo piano è dorico, il secondo ionico ed il terzo corinzio. Il livello ancora superiore è in cemento rinforzato con mattoni, e l’ultimo, l’attico (nome che rimarrà anche nel futuro per indicare il piano più alto di un edificio) è in legno, sormontato da alberi su cui sventolano bandiere. Poiché all’arena accedono decine di migliaia di spettatori, è importante innanzitutto avvicinarsi dalla parte giusta: su ogni biglietto è indicato il cancello d’entrata appropriato; ci sono in tutto 80 ingressi, contrassegnati dal relativo numero, posto in cima all’arcata (76 per gli spettatori comuni, due riservati alla famiglia imperiale e il suo corteggio, e due per i gladiatori). All’interno, i corridori sono talmente ampi, il sistema di rampe e passaggi così efficiente, che l’anfiteatro può riempirsi in meno di 20 minuti. Alla fine dello spettacolo gli spettatori si riversano nelle strade con una tale rapidità che i corridoi sono soprannominati vomitoria. Gli spettatori non possono sedersi in un posto qualsiasi: la vista migliore si gode dal podio, una terrazza di marmo riservata ai senatori, ai sacerdoti dei sacri collegi e ad altri vip. Sul lato sud del podio vi è la galleria imperiale, accanto alla quale siedono le Vergini Vestali, e dietro di loro 20 ordini di posti riservati al rango degli equestri. Il resto è diviso in tre parti: l’imum , per i cittadini più ricchi e i loro ospiti, il summum , per i più poveri, ed infine su in alto, il piano in legno (solo posti in piedi) è per le donne. La suddivisione dell’uditorio rispecchia la gerarchia delle classi sociali. L’anfiteatro al gran completo costituisce per così dire uno specchio rovesciato della società romana, che presenta una struttura piramidale. A dispetto delle 50.000-80.000 persone che affollano le tribune, da quasi ogni angolo l’arena appare sorprendentemente vicina e “personale”: lo si deve alla particolare forma ellittica, che favorisce l’avvicinamento degli spettatori all’azione. Il suolo dell’arena è uno dei luoghi più intrisi di sangue della terra: per ognuno dei suoi 4500 m² sono morti almeno 100 esseri umani e più del doppio di animali. Anche se i giochi non hanno mai lo stesso identico svolgimento, il primo evento è di solito la parata dei partecipanti. Se vedete qualcuno di loro lanciare dei piccoli razzi verso la folla, cercate di afferrarne uno: si tratta dell’equivalente romano della lotteria nazionale, con premi che vanno da un buon pasto a una sontuosa residenza, passando da un elefante ad un vaso rotto.
Non aspettatevi di vedere donne gladiatrici; in compenso ci sono le danzatrici e le acrobate che espongono la loro “mercanzia” tra un atto e l’altro. L’anfiteatro offre anche una delle poche opportunità di vedere un imperatore romano a distanza ravvicinata: è qui che l’ Imperatore ed il popolo interagiscono e da questo scambio si può intuire molto sull’attuale stato delle cose a Roma.
La popolarità è la migliore garanzia della sicurezza di un Imperatore, per cui i sovrani fanno a gara per trovare animali sempre più esotici e favolosi al fine di affascinare la folla. In esposizione si possono ammirare struzzi, coccodrilli, leopardi, persino ippopotami, molti dei quali moriranno durante la venatio , o caccia. Per la venatio, si potrà vedere una foresta, preparata ad arte, emergere dal fondo dell’arena, degli animali comparire come per magia. Il fondo sabbioso, in apparenza solido, copre, infatti, in realtà un complesso sotterraneo di gabbie, cunicoli e rampe, da cui leve e contrappesi portano alla ribalta sempre nuovi spettacoli. La smania dell’arena ha causato l’estinzione di intere specie di animali in alcune regioni. Per i romani la natura è una realtà non minacciata ma minacciosa. La caccia rappresenta una rassicurante dimostrazione della superiorità umana. I combattenti che affrontano le fiere sono professionisti, l’equivalente romano dei toreri, e quindi non criminali condannati alle belve. Questo genere di punizione viene spesso eseguita all’ora di pranzo: una buona occasione per sgattaiolare via e mangiare. I romani sono convinti che giustizia debba essere fatta, ma nel modo più spettacolare e caotico possibile.
Intorno all’anfiteatro c’è una moltitudine di maghi e fattucchiere pronti a predirvi il destino, il futuro, nonché a narrarvi le curiosità e le leggende legate a questi luoghi. Tra queste, densa di fascino, è quella secondo cui, prima, nel punto in cui sorge ora l’Anfiteatro Flavio, esisteva l’antico Tempio del Sole. Leggenda che si potrà leggere anche nei Mirabilia Urbis, una raccolta di racconti spesso contrastanti che narrano leggende e meraviglie di Roma, scritti principalmente dai molti stranieri rimasti suggestionati dalle magie della città.

di Dario Giardi e Francesca Brocchetta

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