FANTASMI E MISTERI DEL CASTELLO VISCONTEO DI TREZZO SULL’ADDA

FANTASMI E MISTERI DEL CASTELLO VISCONTEO DI TREZZO SULL’ADDA

Risalendo il pendio che da Olgiate mi conduce a Consonno, parcheggio davanti alla transenna che blocca la strada ai veicoli. Da questo punto è necessario proseguire a piedi. Comincio a camminare, curioso di scoprire cosa mi aspetterà. Se in passato esisteva una strada asfaltata, il tempo l’ha cancellata. Mi attende una salita della durata di una ventina di minuti.

Attraversando a piedi od in macchina l’altissimo ponte sull’Adda che separa la provincia di Bergamo da quella di Milano, la sensazione che si prova è una commistione tra il piacere che offre il panorama ed il disagio di trovarsi a decine di metri sopra alle acque scure del fiume.

Trezzo sull’Adda è un graziosissimo comune promosso alla qualifica di città dal Presidente della Repubblica italiana grazie alle sue bellezze artistiche e paesaggistiche. L’etimologia del nome dell’abitato sembra derivi dal celtico Trecc che indicava un promontorio.

L’elemento più caratteristico è certamente il castello Visconteo. Trovandosi in un luogo strategico, fu spesso conteso ed altrettante volte distrutto. Milano, Federico Barbarossa ed i Torriani vollero impadronirsi a diverse riprese del maniero arroccato sul promontorio dove il corso del fiume crea un’ansa. Si dice che il Barbarossa avesse fatto portare gran parte dei suoi tesori all’interno del maniero. Sempre alla ricerca di nuovi luoghi da conquistare, aveva commesso però l’errore di non lasciare abbastanza soldati a protezione del tesoro e, durante la sua assenza, i milanesi assaltarono il castello impadronendosi delle sue ricchezze.
Gli attuali resti della roccaforte e del ponte medievale si possono datare alla fine del XIV secolo, quando si trovava sotto il dominio del ducato dei Visconti.

Aggirandosi tra i suoi ruderi, visitabili e divenuti area del parco comunale, si percepisce immediatamente la sensazione della memoria che permane tra le pietre che narrano di un glorioso passato.
Il maniero fu protagonista di una congiura e testimone di un omicidio illustre. Bernabò Visconti, Signore di Milano, fu il fautore dell’erezione del fastoso castello di Trezzo che, a partire dal 1370, divenne luogo di caccia e di divertimenti. Gian Galeazzo Visconti fece arrestare lo zio Bernabò con l’inganno al fine d’impadronirsi del ducato e, nel 1385, lo fece rinchiudere nel suo amato castello. Recluso d’alto rango, a Bernabò Visconti fu concesso un trattamento di riguardo. Sembra infatti che quel periodo di soggiorno forzato fu allietato dalla compagnia dell’amante Donnina de’ Porri. Naturalmente si trattava di un prigioniero scomodo e quindi, pochi mesi dopo, venne ucciso. Gli fu servita una razione avvelenata di fagioli, di cui andava ghiotto, e morì tra atroci dolori.

Fino al XVIII secolo, esisteva ancora la stanza nella quale era stato recluso. Su una parete, di suo stesso pugno, Bernabò aveva lasciato questo monito:

tal a mi qual a ti (un’altra fonte cita invece mi a ti, ti a mi)

il cui significato era: “Oggi a me, domani a te”. Forse non è un caso che l’anno successivo, nel 1386, proprio al terribile nipote Gian Galeazzo Visconti sia apparso il diavolo e successivamente, nel 1402, sia morto di peste.
Passando dalle curiosità storiche al paranormale, sembra che gli avvistamenti ed i racconti di fantasmi legati ai ruderi del castello siano molteplici.
Si parla ad esempio del fatto che parte del tesoro sottratto a Federico Barbarossa si celi ancora in qualche luogo dei sotterranei e chiunque tenti la sua ricerca, si trovi la strada sbarrata dalla figura spettrale dell’imperatore.
L’apparizione più celebre è però risalente alla seconda metà del secolo scorso quando apparve la figura di Bernabò Visconti insieme a tutta la sua servitù. Era l’agosto del 1973 quando quattro giovani turisti tedeschi scelsero i ruderi del castello per montare le tende e trascorrervi la notte. Quando il buio li avvolse, udirono voci in lontananza e rumori di passi. Incuriositi, andarono a vedere se c’erano altri ragazzi che avevano avuto la loro stessa idea di accamparsi nel giardino del castello. Con grande sorpresa si trovarono invece di fronte a uomini d’arme che reggevano delle fiaccole e ad un nobile con mantello. Il nobile, accortosi della presenza dei giovani, li invitò con un gesto della mano a seguirli. Pensando si trattasse di una rievocazione folcloristica medievale, i quattro ragazzi tedeschi li seguirono senza timore. Furono condotti all’interno del castello e giunsero in un vasto salone illuminato da candele. C’erano decine di persone tra servi, soldati, nobildonne, cavalieri e uomini riccamente vestiti. Al centro della sala un lunghissimo tavolo imbandito a selvaggina ed ogni tipo di prelibatezza. I servi riempivano loro di vino i calici ogni qualvolta erano vuoti. Seppur non comprendendo la lingua, i giovani interloquirono a gesti, risero e si divertirono.
Quando la festa volse al termine, vennero condotti in una stanza con un grande letto a baldacchino. Stremati ed un po’ ubriachi, ringraziarono dell’ospitalità e si addormentarono appena posata la testa sui cuscini.
Si risvegliarono la mattina seguente con il sole che batteva forte sui loro corpi. Aprendo gli occhi rimasero increduli: avevano dormito per terra, tra ruderi di mura. Attorno a loro solo rovi e sterpaglie.
Come ogni castello che si rispetti, oltre alle storie di tesori e di fantasmi, è necessario citare l’intrico di cunicoli sotterranei che li contraddistingue. Dopo essersi calati per i quaranta metri del pozzo, una spedizione di speleologi ha scoperto diversi corridoi sotterranei. Uno di questi conduceva ad una sala col pavimento ricoperto di escrementi e la volta del soffitto abitata da pipistrelli. L’esalazione prodotta dagli escrementi rendeva l’aria rarefatta ed irrespirabile. Si è supposto che i prigionieri del castello fossero condotti in quella sala nella quale la morte sopraggiungeva a causa di una prolungata esposizione a quelle esalazioni. Tesi avvalorata dal fatto che sono state trovate catene ancora confitte nelle pareti.
Oltre all’arcaica versione di una camera a gas, nei sotterranei si trovava anche la ‘stanza della goccia’. In luoghi così bui, profondi e nelle vicinanze del fiume, era naturale che si creasse una grande umidità. Dai soffitti si condensavano gocce d’acqua che cadevano a terra e proprio in questi punti venivano portati i prigionieri. Legati in corrispondenza della condensazione, le gocce cadevano in maniera costante e continuativa sui crani delle povere vittime che finivano per essere perforati.

di William Facchinetti Kerdudo

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